1. Fino a quando, Catilina, intendi dunque abusare della nostra pazienza? Per quanto tempo ancora questo tuo comportamento fazioso si prenderà gioco di noi? Fino a che punto si spingerà la tua illimitata sfrontatezza? Non ti turbano il presidio notturno a difesa del Palatino, le pattuglie armate che perlustrano la città, l'angoscia del popolo, l'accorrere di tutti i cittadini onesti, e neppure la scelta di questa sede cosi difesa per le riunioni del senato,' né l'espressione del volto di costoro? Non ti accorgi che i tuoi progetti sono scoperti? Non ti rendi conto che il tuo complotto è ostacolato dal fatto che tutti qui ne sono a conoscenza? Credi forse che qualcuno di noi ignori che cosa hai fatto la notte scorsa e quella precedente, dove sei stato, quali congiurati hai convocato e quali decisioni hai preso?
2. O tempora! o mores! Il senato è al corrente di questi progetti, il console ne è consapevole: eppure lui continua a vivere. A vivere? Non solo, ma addirittura viene in senato, gli si permette di prendere parte alle decisioni d'interesse comune, osserva ciascuno di noi e con un'occhiata gli assegna un destino di morte. Quanto a noi, uomini di grande coraggio, siamo convinti di fare abbastanza per lo Stato vanificando i furiosi tentatívi assassini di costui. Ti si sarebbe dovuto condannare a morte già in precedenza, Catilina, per ordine del console; su di te avrebbe dovuto riversarsi la rovina che tu già da lungo tempo trami contro noi tutti.
3. Se un uomo di grandissimo prestigio, quale fu il pontefice massimo Publio Scipione, pur non ricoprendo cariche pubbliche, mandò a morte Tiberío Gracco che peraltro attentava solo in misura marginale alla stabilità della Repubblica, noi consoli tollereremo che Catilina accarezzi il progetto di devastare con stragi e incendi il mondo intero? Tralascio il noto esempio, ormai troppo lontano, di Caio Servilio Ahala, il quale uccise di propria mano Spurio Melio che ordiva trame estremistiche. Ma vi assicuro che vi fu, vi fu anche in questo Stato un tempo il coraggio, quando gli uomini di grande energia infliggevano al cittadino sedizioso un supplizio più crudele di quello riservato al peggiore nemico. Contro di te, Catilina, un decreto del senato severo ed energico lo possediamo: lo Stato non è privo della saggezza e della capacità di decisione del collegio senatorio; siamo noi consoli lo riconosco davanti a tutti siamo noi a venir meno al nostro dovere.
4. Un tempo, il senato conferì al console Lucio Opimio i pieni poteri con l'incarico di vigilare affinché la Repubblica non subisse danni; non trascorse nemmeno una notte: per un semplice sospetto di congiura venne messo a morte Caio Gracco (eppure suo padre era famosissimo, cosi come il nonno materno e vari antenati); anche l'ex console Marco Fulvio fu ucciso, insieme con i figli. Un analogo decreto del senato affidò la salvezza della Stato ai consoli Caio Mario e Lucio Valerio. Ebbene, la condanna a morte decretata dal senato non attese nemmeno un giorno a colpire il tribuno della plebe Lucio Saturnino e il pretore Caio Servilio. Noi invece già da venti giorni tolleriamo che la decisione dei senatori rimanga senza conseguenze. Abbiamo a disposizione infatti un senatusconsultum dell'efficacia che sapete ma lo lasciamo ben chiuso negli archivi ufficiali, come una spada nel fodero! In base a tale decreto, Catilina, avresti dovuto essere ucciso senza indugio. Vivi invece, e sei ancora in vita non per moderare la tua arroganza, ma per rafforzarla. Desidero essere clemente, senatori; ma in un momento di cosi grave pericolo per lo Stato desidero anche non apparire indolente: io stesso quindi mi accuso di pigrizia e trascuratezza.
5. In Italia, allo sbocco delle valli toscane, vi è un esercito schierato contro il popolo romano; il numero dei nemici cresce di giorno in giorno; il comandante, la guida di tale esercito, lo potete vedere in città, e persino in senato, ordire giorno dopo giorno le sue trame contro la Repubblica. Se ora dessi ordine di catturarti, Catilina, o di ucciderti, sono convinto che tutti i cittadini onesti direbbero che l'ho fatto troppo tardi, e non che ho agito con eccessiva crudeltà. Ma io per una ben precisa ragione sono portato a credere che sia bene non fare ancora ciò che si sarebbe dovuto fare già in precedenza. Alla fine sarai comunque giustiziato, quando ormai non si troverà più nessuno tanto ingiusto, tanto corrotto, tanto simile a te, da non riconoscere apertamente che ho agito secondo la legge.
6. Finché ci sarà uno solo che oserà difenderti vivrai, ma vivrai cosi come stai vivendo ora, assediato dalle mie numerose e risolute guardie, in modo che tu non possa ordire trame contro lo Stato. Molti occhi e molte orecchie ti osserveranno e ti ascolteranno, senza che tu te ne accorga, come hanno fatto finora. E dunque, Catilina, che motivo c'è per attendere ancora, se nemmeno la notte riesce a nascondere con le tenebre i tuoi incontri scellerati, se neppure le pareti di una casa privata bastano a coprire le voci della tua congiura, se tutto è chiaro, se tutto viene alla luce? Dammi ascolto, cambia il tuo proposito, dimentica massacri e incendi. Sei accerchiato: tutti i tuoi piani sono per noi più chiari della luce; se vuoi, possiamo passarli insieme in rassegna.
7. Non ricordi che il 21 ottobre in senato ho sostenuto che in un giorno stabilito, che sarebbestato il 27 ottobre, Caio Manlio, tuo compagno di azioni temerarie e tuo braccio destro, sarebbe sceso in armi? Mi è forse sfuggita, Catilina, l'enormità del tuo tentativo cosi crudele e incredibile o peggio e ciò colpisce ancor più la data? Inoltre sono stato io a rivelare in senato che tu avevi posticipato il massacro dei senatori al 28 ottobre, giorno in cui molti notabili della città lasciarono Roma non tanto per mettersi in salvo quanto per vanificare i tuoi progetti. Puoi forse negare che proprio in quel giorno, circondato dalle mie guardie e dalla mia attenta vigilanza, non hai potuto attuare i tuoi piani contro lo Stato, e giacché gli altri erano partiti andavi dicendo che ti saresti accontentato di eliminare me che non mi ero allontanato?
8. Che cosa vuoi ancora? Confidando nel fatto che il 1° novembre con un attacco notturno avresti conquistato Preneste, non ti rendesti conto che quella colonia, per mio ordine, era custodita dai miei soldati, dalle mie guardie, dalle mie sentinelle? Non puoi fare né tramare né pensare nulla senza che io non solo senta, ma anche veda e comprenda perfettamente. Ripercorri dunque con me la penultima notte: ti accorgerai cosi che io veglio sulla sicurezza dello Stato molto più attentamente di quanto tu non ti adoperi per il suo danno. La penultima notte ti sei recato nella via dei costruttori di falci intendo parlar chiaro in casa di Marco Leca. Là si erano radunati parecchi complici del tuo piano folle e scellerato. Osi forse negare?Perché stai zitto? Se neghi, addurrò le prove della tua colpevolezza: vedo infatti che qui in senato sono presenti alcuni che erano là insieme con te.
9. 0 dèi immortali! In che mondo viviamo? In che città abitiamo? Che governo abbiamo mai?Qui, proprio qui in mezzo a noi, o senatori, in quest'assemblea, la più sacra e la più autorevole della terra, sono seduti quelli che tramano la morte di tutti noi, la distruzione di questa città e persino dell'impero. A me, console, tocca sopportare la loro presenza e devo chiedere il loro parere per la salvezza dello Stato senza neppure riuscire a ferire con la voce coloro che sarebbe stato necessario passare per le armi. Dunque, Catilina, quella notte andasti da Leca: distribuisti gli incarichi ai congiurati delle varie zone dell'Italia e decidesti dove ti pareva opportuno che ciascuno si recasse; stabilisti anche chi lasciare a Roma e chi portare con te. Designasti i quartieri della città da incendiare, confermasti che la tua partenza era ormai prossima e dicesti di doverti trattenere ancora ma per poco per il fatto che io ero ancora in vita. Si trovarono due cavalieri romani disposti a liberarti anche da questa preoccupazione, i quali si impegnarono a uccidermi nel mio letto quella notte stessa poco prima dell'alba.
10. Tutte queste cose sono venuto a saperle non appena sciolta la vostra riunione. Rafforzai il presidio di guardie intorno alla mia casa, vietai l'ingresso a coloro che al mattino tu mandasti a salutarmi, poiché erano venuti proprio quelli la cui visita in quel momento mi aspettavo come avevo già predetto a molti illustri cittadini. Questa è la situazione, Catilina: porta a termine ciò che hai intrapreso; esci una volta per tutte dalla città; le porte sono spalancate: vai. Da troppo tempo ormai le celebri truppe del tuo amico Manlio attendono te, il loro comandante. Portati via tutti i tuoi, o almeno il maggior numero possibile: ripulisci la città. Sarò liberato da una grande preoccupazione quando si muro si leverà tra me e te. Ormai non puoi restare tra noi più a lungo: io non voglio, non posso, non ho assolutamente intenzione di sopportarlo.
11. Dobbiamo nutrire grande riconoscenza verso gli dèi immortali e in particolare verso Giove Statore, da sempre custode di questa città, per il fatto che già tante volte siamo riusciti a sfuggire a questa rovina, cosi spaventosa, orribile e pericolosa per lo Stato, la cui sopravvivenza non bisogna mai più permettere che sia messa a repentaglio da un solo uomo. Fino a che tu, Catilina, hai tramato contro di me, quando ero console designato, mi sono difeso non con una scorta pubblica, ma con una guardia del corpo privata. Quando poi, nel corso degli ultimi comizi per l'elezione dei consoli, hai tentato di uccidermi allora ero console in carica nel Campo Marzio insieme con i candidati tuoi concorrenti, sono riuscito a reprimere i tuoi tentativi assassini grazie alla protezione degli amici e delle loro guardie, senza ricorrere a una leva straordinaria. Insomma, ogni volta che hai preso di mira me mi sono opposto da solo ai tuoi dardi, sebbene mi rendessi conto che la mia morte avrebbe comportato una grave rovina per lo Stato.
12. Ora però tu attenti apertamente all'intero Stato, vuoi trascinare alla distruzione e alla catastrofe i templi degli dèi immortali, gli edifici della città, la vita di tutti i cittadini, insomma l'Italia intera. Perciò, dato che non oso ancora provvedere con la decisione che sarebbe la prima da prendere e la più conveniente a questo mio grado e alla tradizione, farò quanto risulta meno grave dal punto di vista del rigore, ma più utile alla salvezza comune. Se infatti dessi l'ordine di ucciderti rimarrebbe nella Repubblica un manipolo di congiurati. Se invece te cosa a cui ti esorto già da parecchio tempo te ne andrai, la fogna della città, la numerosa ed esiziale torma dei tuoi compagni, sarà ripulita.
13. Che c'è, Catilina? Esiti a fare per mio ordine ciò che avresti fatto di tua spontanea volontà? Il console ordina al nemico di allontanarsi dalla città. In esilio, mi chiedi? Non te lo posso ordinare, ma, se mi chiedi un consiglio, te lo suggerisco. Che cosa c'è, Catilina, che ti possa trattenere ancora in questa città, nella quale non vi è nessuno tranne questa banda di tuoi scellerati complici che non ti tema, che non ti abbia in odio? Quale marchio di immoralità non bolla la tua vita privata? Quali azioni disonorevoli non macchiano la tua fama? Da quale dissolutezza rifuggirono mai i tuoi occhi, da quale delitto le tue mani, da quale scandalo la tua persona? Quale adolescente, dopo averlo irretito con gli allettamenti della tua corruzione, non hai guidato al delitto o alla passione sfrenata?
14. Che dire di più? Quando, poco tempo fa, con l'uccisione della tua prima moglie hai sgomberato la casa per nuove nozze, non hai forse sommato a questa infamia anche un delitto impronunciabile? Ma lo passo sotto silenzio, e volentieri evito di parlarne, perché non risulti che in questa città è stato perpetrato o non è stato punito un delitto tanto esecrabile. Ometto lo stato rovinoso delle tue finanze: ti accorgerai alle prossime Idi della minaccia che incombe su di te; vengo piuttosto a quei fatti che non riguardano l'obbrobrio della tua vita privata, né le tue difficoltà economiche, ma il supremo bene dello Stato e la vita e la salvezza di tutti noi.
15. Come può, Catilina, esserti gradita questa luce o l'aria che respiri, sapendo che nessuno dei presenti ignora che l'ultimo giorno dell'anno di consolato di Lepido e Tullo hai preso parte ai comizi armato, che avevi raccolto un manipolo di soldati per uccidere i consoli e i principali cittadini e che al progetto scellerato non un tuo pensiero di ravvedimento o un qualche timore si è opposto, ma la Fortuna del popolo romano? Ma tralascio anche questi delitti: infatti quelli commessi in seguito non sono né sconosciuti né pochi. Quante volte hai tentato di uccidermi quand'ero console designato e quante volte persino dopo che ero divenuto console! Da quanti tuoi colpi assestati in modo che sembrasse impossibile evitarli mi sono difeso con un semplice scarto del Corpo! Perdi tempo, non ottieni nulla, eppure non metti fine ai tuoi velleitari tentativi
16. Quante volte già questo pugnale ti è stato strappato dalle mani! Quante volte per qualche motivo ti è caduto e non ha avuto effetto! Non so con quali riti sia stato consacrato e promesso in voto, se ritieni necessario conficcarlo nel corpo di un console. Ma dimmi, che vita è ora la tua? Ormai io ti rivolgo la parola non mosso dall'odio, come dovrei, ma dalla misericordia, che tu non meriti affatto. Poco fa sei venuto qui in senato. Chi di tutta questa folla, chi dei tuoi numerosi amici e clienti ti ha rivolto il saluto? A memoria d'uomo non si ricorda che qualciuno abbia mai ricevuto un'accoglienza cosi ostile: e allora? Attendi il disprezzo delle parole quando già sei colpito dal durissimo giudizio del silenzio? E ancora: al tuo arrivo questi sedili sono stati lasciati liberi, non appena ti sei seduto tutti gli ex consoli da te più volte condannati a morte hanno abbandonato completamente questo settore di seggi. Con che animo insomma pensi di sopportare tutto ciò?
17. Se i miei schiavi mi temessero al punto a cui ti temono tutti i tuoi concittadini, mi riterrei costretto ad abbandonare la mia casa. Non pensi, tu, di dover lasciare la città? Se mi vedessi da loro sospettato e accusato di cose tanto gravi sia pure a torto, preferirei essere privato della possibilità di vederli piuttosto che essere guardato da tutti con occhi ostili. Tu invece, nonostante riconosca per la coscienza che hai dei tuoi crimini che l'odio di tutti è giustificato e dovuto a te da tempo, esiti tuttavia ad allontanarti dagli occhi e dalla presenza di quelli cui ferisci la niente e l'anima? Se i tuoi genitori avessero paura di te e ti odiassero e non ti fosse possibile in alcun modo ricondurli alla ragione, te ne andresti lontano credo dai loro occhi. Ora è la patria, madre comune di tutti noi, a odiarti e temerti, ormai da tempo colnvinta che tu non accarezzi altro progetto che il parricidio: non ne rispetterai l'autorità, non ne accetterai la sentenza, non ne temerai la forza?
18. Essa, Catilina, discute con te e silenziosa, in un certo qual modo, ti rivolge la parola cosi: «Ormai da molti anni non è stato perpetrato alcun delitto se non per opera tua, nessuna azione infamante senza la tua partecipazione; soltanto per te l'uccisione di molti cittadini, la vessazione e la depredazione degli alleati sono rimasti impuniti e privi di conseguenze: sei stato capace non solo di calpestare le leggi e i tribunali, ma anche di distruggerli e annientarli. I noti delitti del passato, che non avrei dovuto sopportare, tuttavia, come ho potuto, li ho sopportati. Ora però sono in grande ansietà per causa soltanto tua: a ogni rumore si teme Catilina; sembra che nessun complotto possa essere ordito contro di me senza la tua scellerata partecipazione: non intendo più sopportarlo. Perciò vattene, e liberami da questo timore: se è fondato, perché io non ne sia uccisa, se invece è falso, perché una volta per tutte io smetta di temere».
19. Se, come ho detto, la patria ti rivolgesse queste parole, non dovrebbe forse ottenere ciò che ti chiede, anche se non fosse in grado di usare la forza? E che dirò del fatto che hai chiesto gli arresti domiciliari e che per fugare i sospetti hai dichiarato l'intenzione di trasferirti presso Marco Lepido? Ma Lepido non ti accolse, e osasti venire anche da me a chiedere di essere ospitato in casa mia. Ricevuta la medesima risposta, cioè che io non potevo ritenermi sicuro abitando tra le stesse pareti in cui abitavi tu, poiché correvo già un grave pericolo vivendo entro la stessa cerchia di mura, ti recasti dal pretore Quinto Metello. Rifiutato anche da lui, te ne andasti dal tuo amico Marco Metello, ottima persona, che ritenesti sarebbe stato molto zelante nel custodirti, astutissimo nel sorvegliarti e durissimo nel punirti. Ma quanto è giusto che stia lontano dai ceppi del carcere uno che da se stesso si giudica degno degli arresti domiciliari?
20. Vista la situazione, Catilina dal momento che non sei in grado di morire con animo fermo, esiti ad andare in altre terre e ad affidare la tua vita, sottratta a numerosi supplizi giusti e meritati, a quella forma di fuga che è la solitudine? «Fanne formale proposta al senato» mi dici: lo chiedi tu stesso e, se il senato decretasse il tuo esilio, ti proclami disposto a obbedire. Non lo proporrò, perché ciò è contrario alle mie abitudini, e farò tuttavia in modo che tu percepisca chiaramente che cosa pensano di te. Vattene dalla città, Catilina, libera lo Stato dal terrore. Va' in esilio, se aspetti il loro giudizio. E allora? Ma presti attenzione? Non senti il loro silenzio? Lasciano che parli io, loro tacciono. A che scopo attendi un ordine esplicito, quando la loro volontà traspare anche solo dal silenzio?
21. Se io avessi detto le stesse cose a questo giovane valoroso, Publio Sestio, o a Marco Marcello, uomo di grande coraggio, il senato avrebbe già reagito violentemente contro di me in questa stessa sede e a buon diritto, nonostante io sia il console. Invece, trattandosi di te, approvano col silenzio, lasciandomi parlare pronunciano giudizi, tacendo gridano; e non soltanto costoro, dei quali rispetti l'autorità pur tenendo scarso conto della loro vita, ma anche tutti i cavalieri romani, uomini di grande onore e valore e tutti gli altri cittadini coraggiosi che circondano il senato, dei quali puoi constatare di persona il numero, intuire i propositi e di cui poco fa hai anche potuto sentire le voci. A fatica tengo lontani da te le loro armi e i loro colpi. Ma potrei facilmente convincerli a farti da scorta fino alle porte se tu decidessi di abbandonare questi luoghi che già da tempo ti proponi di distruggere.
22. Ma perché parlare? con la speranza che qualcosa ti pieghi, che prima o poi tu ti corregga, che tu giunga finalmente alla decisione di fuggire o di andare in esilio? Magari entrassi in tale ordine di idee! Eppure mi è chiaro che, nel caso ti convincessi ad andare in esilio per effetto delle mie parole, un'intensa grandine di impopolarità ne verrebbe per me, se anche non oggi è vivo infatti il ricordo dei tuoi recenti delitti , certo in futuro.Ciononostante ne vale la pena, purché la sventura colpisca me soltanto e lo Stato non sia minacciato. Ma non si deve pretendere che tu sia spinto dai tuoi vizi a temere le pene sancite dalla legge, che ti sacrifichi per la difficile situazione dello Stato. Infatti, Catilina, non sei certo il tipo che la vergogna trattiene dal compiere un'azione infamante, o la paura dall'affrontare un pericolo, o la ragione dal commettere una follia.
23. Perciò, come ti ho già ripetuto più volte, vattene e se vuoi suscitare odio contro di me tuo nemico, come dici, personale va' in esilio immediatamente. Sarà una dura fatica sopportare le calunnie dei malvagi se farai ciò. A stento sarò in grado di sostenere il peso di quest'odio se andrai in esilio per ordine del console. Se invece vuoi essere utile alla mia fama futura, allora vattene insieme con la schiera impudente dei tuoi fidi raggiungi Manlio, raccogli i peggiori cittadini, allontanati dai buoni, dichiara guerra alla patria, gioisci di questa guerra di briganti, in modo che non sembri che lo ti abbia cacciato in mezzo a degli stranieri ma che tu abbia raggiunto i tuoi dietro loro invito.
24. Perché mai dovrei tentare di persuaderti, sapendo che hai inviato alcuni ad attenderti armati a Foro Aurelio? Sapendo che hai preso accordi con Manlio sul giorno dell'incontro? Sapendo che hai mandato avanti anche l'aquila d'argento, che ne sono sicuro sarà segno di luttuosa rovina per te e per tutti i tuoi, aquila a cui hai addirittura eretto un empio sacrario in casa tua? E’ mai possibile che possa starle lontano tu che eri solito pregarla prima di uscire per commettere un delitto, tu che dai suoi altari hai spesso ritratto la mano sacrilega per andare a uccidere dei cittadini?
25. Te ne andrai insomma una volta per tutte là dove già in precedenza ti trascinava la tua sfrenata e insana smania! E questo fatto non ti provoca dolore, ma una sorta di sconvolgente voluttà: per tale follia ti ha generato la natura, ti ha allenato la volontà, ti ha protetto il destino. Non solo non hai mai desiderato la pace, ma neppure la guerra, a meno che non fosse rovinosa. Ti sei imbattuto in una masnada di mascalzoni, un'accozzaglia di uomini perduti, non solo traditi dalla sorte ma anche privi di qualsiasi speranza.
26. Con loro chissà che felicità potrai sperimentare, quali gioie ti faranno esultare, quale immenso diletto ti inonderà quando ti accorgerai che in un cosi numeroso gruppo di persone non ne ascolterai e non ne potrai vedere una che sia perbene. A questo genere di vita erano indirizzate le tue fatiche, di cui si favoleggia: dormivi per terra non solo per progettare un adulterio ma anche per commettere un delitto, vegliavi non solo per insidiare il sonno dei mariti ma anche i beni di cittadini pacifici. Ti si offre un'occasione per dar prova della tua tanto celebrata capacità di sopportare la fame, il freddo, la privazione di tutto: senti che tra breve ne sarai sopraffatto.
27. Respingendoti dal consolato ho ottenuto almeno un risultato positivo: hai assalito lo Stato da esule, piuttosto che vessarlo da console, e quanto di scellerato hai intrapreso è stato giudicato un atto di brigantaggio piuttosto che di guerra. Ora, o senatori, affinché io possa prevenire o respingere un rimprovero in un certo qual modo fondato per la Repubblica, ascoltate con attenzione vi prego ciò che sto per dire e imprimetevelo bene nel cuore e nella mente. Infatti, se la patria, che mi è molto più cara della vita, se l'Italia intera, se tutta la Repubblica mi parlasse cosi: «Marco Tullio, che fai? Hai scoperto che è un nemico, prevedi che porterà guerra, ti accorgi che gli avversari lo aspettano come comandante, lui, autore di delitti, capo di una congiura, sobillatore di schiavi e di cittadini ridotti in rovina, eppure sopporti che se ne vada, in modo che sembrerà non che tu l'abbia cacciato, ma che l'abbia fatto entrare in città. Non darai dunque l'ordine di imprigionarlo, di condannarlo a morte, di punirlo con l'estremo supplizio?
28. Che cosa mai te lo impedisce? Il mos maiorum? Più e più volte in questa Repubblica anche dei privati cittadini hanno condannato a morte i cittadini pericolosi. Forse le leggi che sono state emanate riguardo alla condanna a morte di cittadini romani? Mai in questa città chi si è messo contro lo Stato ha potuto conservare i diritti civili. Temi forse l'odio dei posteri? Dunque nutri una riconoscenza davvero mirabile verso il popolo romano, che ha elevato te un uomo fattosi da solo e privo di qualsiasi raccomandazione dovuta a parentele attraverso tutta la serie delle cariche pubbliche cosi giovane al sommo comando se per timore dell'odio o di qualche rischio personale trascuri la salvezza dei tuoi concittadini.
29. Tuttavia, se pure non può mancare il timore di incorrere nel biasimo, si deve forse temere più quello proveniente dall'aver operato con un severo vigore di quello attirato da una malvagia indolenza? Quando l'Italia sarà sconvolta dalla guerra, le città devastate, gli edifici dati alle fiamme, non pensi che anche tu allora verrai travolto dall'incendio del biasimo?». Risponderò brevemente a queste accorate parole della Repubblica e ai pensieri di coloro che provano sentimenti analoghi. Se avessi ritenuto che la cosa migliore, o senatori, fosse condannare Catilina a morte, non avrei concesso nemmeno il godimento di un'ora di vita in più a questo bandito. Infatti, se uomini grandi e famosi non solo non restarono contaminati dal sangue di Saturnino, dei Gracchi, di Flacco e di molti altri ribelli dei tempi passati, ma addirittura ne guadagnarono onori, senza dubbio io non avrei dovuto temere che per l'uccisione di quest'assassino di cittadini si riversasse su di me l'odio dei posteri. E se esso pesasse grandemente su di me, tuttavia sono sempre stato del parere che l'odio guadagnato col valore non sia da considerare tale, ma gloria.
30. Sennonché nell'ordine senatorio vi sono alcuni che o non vedono ciò che sta per accadere oppure dissimulano ciò che vedono; alcuni che alimentarono con deboli proposte le speranze di Catilina e non prestandovi credito diedero forza alla nascente congiura. In base all'autorevole consiglio di costoro, se io lo avessi punito, molti, non soltanto male intenzionati ma anche ingenui, avrebbero sostenuto che agivo in modo crudele e dispotico. Ma comprendo: se costui giungerà agli accampamenti di Manlio, dove è diretto, non vi sarà nessuno tanto stolto da non vedere che è stata ordita una congiura, nessuno tanto disonesto da non ammetterne l'esistenza. Inoltre, ucciso lui soltanto, è chiaro che questo flagello della Repubblica sarebbe frenato per un po', ma non debellato per sempre. Se invece se ne andrà da sé portandosi via i suoi, e raccoglierà in quel luogo gli altri sbandati che ha convocato da ogni parte, sarà completamente estirpato non solo questo flagello tanto radicato nello Stato, ma anche il seme e la radice di tutti i mali.
31. Già da parecchio tempo infatti, o senatori, ci troviamo in questo insidioso pericolo della congiura, ma, non so proprio per quale motivo, il culmine di tutti i delitti, del furore antico e dell'estremismo politico è stato raggiunto durante il mio consolato. Se dunque di tutta questa banda di briganti viene ucciso soltanto costui, forse ci sembrerà di essere stati liberati dalla preoccupazione e dal terrore, ma per brevissimo tempo: il pericolo perdurerà, rimanendo chiuso nel profondo, nelle vene e nelle viscere dello Stato. Come spesso accade a chi è gravemente ammalato e in preda all'arsura della febbre, che sembra in un primo momento provare sollievo quando beve dell'acqua gelida, ma in seguito le sue condizioni si aggravano, cosi questo morbo, che affligge la Repubblica, alleviato dalla morte di costui, si inasprirà se rimangono in vita i suoi complici.
32. Perciò se ne vadano i malvagi; si separino dai buoni, si radunino tutti nel medesimo luogo. Un muro, come ho ripetuto spesso, li divida da noi. Smettano di tramare insidie al console nella sua casa, di accerchiare il tribunale del pretore urbano, di assediate con spade la curia, di preparare proiettili incendiari e torce per date fuoco alla città; una buona volta, ciascuno porti scritte in fronte le sue idee politiche. Vi prometto, senatori, che grazie all'infaticabile impegno di noi consoli e alla vostra somma autorità, all'immenso valore dei cavalieri romani, all'unanime consenso di tutti i cittadini onesti, con l'allontanamento di Catilina vedrete tutti gli intrighi scoperti, messi in luce, soffocati e puniti.
33. Con questi auguri, Catilina, con la somma salvezza dello Stato, con la rovinosa distruzione tua e di quelli che si sono uniti a te in ogni delitto e nell'assassinio, parti per una guerra empia e nefasta. Tu, Giove, il cui culto è stato stabilito in questo luogo da Romolo con gli stessi auspici con cui è stata fondata la città, che chiamiamo «Protettore» di questa citta' e giustamente anche dell'impero, tieni lontani costui e i suoi compagni dai tuoi templi e da quelli degli altri dei, dalle case e dalle mura della città, dalla vita e dai beni di tutti i cittadini, e questi uomini, avversi ai buoni, nemici della patria, predatori dell'Italia, uniti da un patto delittuoso e da una nefasta amicizia, puniscili vivi e morti con eterni supplizi.